PER AMORE DELLA MIA PROFESSIONE

Storia di Marisol
A cura di Olivia Santavenere

Sono Marisol vengo dal Perù e sono qui da 13 anni.
Sono infermiere e io e altre due ragazze siamo venute via per lavorare in Italia, con contratti prestabiliti firmati all’ambasciata del Perù, tutto ordinato, con i documenti in regola.
Il primo approccio con l’Italia è stato a Bolzano, lì abbiamo fatto un paio di mesi di lavoro poi ci hanno spostato in centro, verso le Marche, all’ospedale di Senigallia e lì stavo con 2 amiche con le quali siamo state sempre insieme, avevamo 24 anni , eravamo ragazze singles, appena laureate. Quando finì il contratto c’era la scelta tra Volterra o Pontassieve, noi non si sapeva neanche dove erano questi posti, abbiamo fatto cicci coccò e abbiamo scelto Pontassieve così senza nessun motivo in particolare. Ci hanno fatto fare il colloquio alla Val di Sieve Hospital, fin dall’inizio ci hanno accolto benissimo, ci hanno dato una stanzina anche per vivere, abbiamo lavorato da subito e ci siamo trovate bene con questa agenzia interinale per circa un anno .

Dopo un anno la casa di Cura ci ha proposto l’assunzione diretta e a tempo indeterminato e allora non avevamo più motivo di cercare altrove anche se c’è rimasta la voglia di andare in un ospedale pubblico però c’è la complicazione che siamo stranieri e non siamo nella comunità europea e non sappiamo bene la lingua e poi si stava bene anche lì e siamo rimaste lì. Però la prima volta siamo andate ad abitare a Rufina. 

Di là, in Perù l’agenzia ci diceva che si andava a lavorare nell’ospedale pubblico a Milano, Milano o Bolzano, là si sentiva solo la parola Milano e che era in Italia e basta! Ci avevano fatto lezioni di cultura italiana, su come si viveva in Italia, su gli orari, però è sempre diverso a leggerlo che a stare nel posto .

Quando sono arrivata ero appena laureata con tante aspettative di lavorare e di già lavoravo come infermiere in Perù. Da noi dopo aver conseguito la laurea in infermieristica, 5 anni di studi universitari, è obbligatorio fare un anno di praticantato gratis se no non si può lavorare e si deve fare in periferia per aiutare la gente povera. A un’oretta d casa nostra ci sono i lama allevati come pecore, quando ho fatto lo stage in periferia mi hanno insegnato molte cose su i pastori di lama, anche l’infermiere viene coinvolto perché è parte della sanità. I pastori di lama dormono insieme ai lama, nelle nostre montagne fa tanto freddo anch’io ho dormito con loro , con la signora e i suoi 2 bambini vicino al fuoco x cucinare, faceva un freddo ! Io ho dormito felice accanto a loro . 

Per metà delle infermiere il praticantato è retribuito e casualmente sono rientrata in quel numero, perché viene tirato a sorte, a me è toccato retribuito così ho potuto aiutare la mia famiglia avevo fratelli piccoli che andavano a scuola. 

Sono di Arequipa, la seconda città del Perù, si trova nel sud del Perù a 2325 m. s.l.m. siamo a metà dell’altopiano delle Ande, lì il clima è bellissimo, non fa mai ne’ troppo caldo né troppo freddo, una temperatura perfetta come oggi qui e un cielo sempre blu.

In Perù avrei avuto opportunità di lavorare all’Università perché sono uscita con il massimo dei voti ero una buona studentessa, l’università ci dà anche la possibilità di insegnare all’interno però c’era questa opportunità di venire in Italia e io e altre colleghe si disse andiamo a provare . A provare si perché l’incarico era soltanto per due anni, poi ci hanno fatto il contratto. Alcuni di quelli che erano partiti con noi sono ritornati in Perù, forse l’1% per motivi amorosi e famigliari.

Ma tutt’ora mi è rimasta la voglia di tornare là per cambiare la sanità. In Perù c’è una sanità terribile, non funziona ora c’hanno anche i soldi ma io vedo le stesse cose che vedevo tanti anni fa.

Magari è perché mancano le persone, forse manco anch’io ! E appena posso voglio tornare per cambiare qualcosa.

Per me è stata una emigrazione come scoperta professionale, tutti dicevano in Europa la sanità è più organizzata, quindi è per quello che sono uscita per vedere altre cose e tornare con più informazioni beh! insomma dico grazie a Dio, sono cattolica, dico grazie a Dio mi è andata bene perché poteva andare di peggio, ci sono stati tanti casi brutti. 

Sono stata bene sono stata accolta bene, con i miei colleghi benissimo, anche se quando abbiamo cominciato a lavorare qui abbiamo avuto una specie di choc culturale. Noi siamo professionisti e quando ci davano il compito di fare la terapia le OSS ( operatrici socio sanitarie) italiane non ci lasciavano fare, eravamo ragazze giovani di soli 22 anni e loro volevano che andassimo sotto di loro . Era un fattore culturale, era ignoranza non razzismo. Ora che le ragazze neolaureate stanno uscendo ora loro non toccano nemmeno la padella perché in teoria è così, ora l’infermiere fa altre cose , il lavoro è diverso e loro l’hanno capito finalmente, finalmente ci danno ragione ci hanno accolto Noi però non si stava a discutere se avevamo tempo andavamo a lavare i malati il nostro lavoro è anche quello dell’assistenza integrale ai malati, però la nostra priorità è la terapia perché si deve firmare, soprattutto ne siamo responsabili , al tribunale si va noi non vanno mica loro. Per fortuna ora capiscono di più .

In quei primi anni a Pontassieve non vedevo mai un peruviano ne’ una peruviana con cui rapportarmi, tutti dicevano che se volevo incontrare i peruviani dovevo andare a Firenze, alle Cascine, ma io e le mie amiche non avevamo tempo , avevamo i turni di lavoro. Ora qualche volta , quando sono libera ci vado a Firenze alle Cascine dove ci si incontra tra peruviani, non vado a stravolgermi, vado per vedere altri peruviani. Invece prima nemmeno potevo andare a Firenze si stava a S. Francesco non cerano pullman non c’erano treni si andava a fare la spesa al Despar e poi non c’era più niente, non si veniva nemmeno a Pontassieve solo casa e lavoro e poi eravamo sole infatti dopo quella esperienza, tra noi ci sentiamo come sorelle. Si dormiva insieme in due lettini, era bellino, bello si, ma anche un po’ tristino perché non si socializzava più di tanto. Le colleghe quando avevano libero ci portavano un po’ fuori ma non ci portavano a Firenze ci portavano a Fiesole, a vedere le montagne che a noi ci piacciono ma avevamo bisogno di incontrare persone del nostro paese, tuttora appena abbiamo tempo una giratina a Firenze la si fa . Questa migrazione qui a Pontassieve ora l’ho vista, prima no, i peruviani non sono tanti saranno 4 o 5 le famiglie ma prima non si vedevano. Era una meraviglia vedere un peruviano o una peruviana poi ho cominciato a vedere qui degli stranieri, persone dell’Est però niente dell’America Latina, Con loro non ci si poteva aprire, finché non si conoscono; ci dicevano di non stare vicino a loro “devi avere paura magari ti fanno del male” infatti alla stazione dopo le 6 di sera non ci si andava più, ci si comportava come fossimo bambini, per evitare problemi non ci si andava. Col tempo, facendo parte della Consulta e dovendo fare i documenti sono andata in Comune e in Comune c’è il centro interculturale e li ho cominciato a vedere marocchini e persone di altre nazionalità che ti salutano, ora conosco molte persone di altri paesi e non ho più paura, ho amici dappertutto e sono felicissima, mi sento al centro del mondo, conosco ragazzi dell’Afganistan, del Brasile, marocchini pakistani, delle isole Mauritius, conoscendo le loro culture e rispettando le loro culture si sta bene , ci si vuole bene come fratelli e sorelle almeno finora, proviamo a non farci male almeno tra noi e via via fra tutti, insomma non mi posso lamentare di Pontassieve ora. 

In Perù torno circa ogni due anni per il costo del volo e per i giorni di ferie, non ci danno più di 15 giorni l’anno e quindi devo mettere insieme due anni di ferie per avere un mese. 

Ultimamente con la gravidanza e con la maternità sono andata anche 2 mesi. Infatti ho potuto vedere che le cose non cambiano, c’è più soldi ma le cose non cambiano là , ancora c’è il bambino che non arriva alle sue medicine, c’è l’anziano che muore in attesa di una pensione sanitaria, io dico il pronto soccorso deve essere per tutti , gratis e una tassa obbligatoria a tutti perché non è giusto che non pagano niente, a livello sanitario vorrei cambiare tante cose. Qui abbiamo questo progettino l’associazione con i figli dei migranti, intanto imparare la lingua, l’aiuto a leggere perché senza cultura non si fa niente. Si parte da lì dalla cultura.

La mia famiglia non era proprio povera ma eravamo 10 fratelli io ero alla metà e si cercava di lavorare e di studiare quindi la mamma ci ha insegnato a mangiare un piatto unico “ quel che c’è, c’è”. Non si mangiava male si mangiava le cose della natura la mia mamma ci aveva le galline, i conigli quando si mangiava la carne si mangiava quelli. Qui invece c’è i gusti! Ogni tanto ai miei pazienti gli e lo dico “E’ grassa che c’hai la carne” allora cominciano a mangiare, il mangiare è diverso anche il gusto anche l’acqua è diversa qui l’acqua è dura a livello chimico, là si beve solo tisane l’acqua deve essere bollita quando io torno da qui dopo un po’ di anni vedo queste differenze . 

Ora sto iniziando a conoscere i miei vicini a salutarci “Ciao Paolo come stai”, anche lui mi saluta, “batti il 5”, un po’ anche per tirarsi su, anche da noi con il vicino ci si conosce tutti, anche da lontano ci si saluta, anche i canini si riconoscono, i cani ti salutano, è normale. Invece a Bolzano non ho conosciuto nessuno, nemmeno il vicino accanto, ci guardavano in una maniera … proprio così e là infatti non ho fatto un’amicizia, eppure non mi sento così chiusa io sono aperta però non mi andava di imporgli niente, in Senigallia abbiamo fatto qualche amico, qui tanti amici quasi famiglia. 

Un’ altra cosa la nostra musica, in Perù siamo tropicali, ogni casa ha la sua musica per tirarsi su. Invece qui guai a fare rumore ti dicono di smettere subito appena sentono la musica! Questo mi è successo a Rufina , eravamo 8 ragazze tutte giovani, avevamo fatto una cena e non si faceva nemmeno tanto rumore e ci vennero a bussare … mi venne un malincore! Qui è diverso, intanto sotto c’è un ambulatorio e accanto c’è una ragazza che rientra tardi. Quando si è fatta una cena qui, abbiamo riso, cantato, ognuno dice le sue battute, ride, scherza come vuole, è bello manca questo, io non l’ho avuto quando sono venuta un posto dove ridere e cantare senza andare a Firenze, lo posso fare anche a casa mia fino a un certo punto . Mi è capitato di andare alle Cascine per le feste, sono andata alla festa di San Juan, lì fanno musica con la tromba, ballano anche, bevono soprattutto i maschi le femmine di meno. Sono serate per stare in compagnia, per stare allegri, per tirarsi su. A volte si ubriacano e fanno vergognare, infatti a Firenze è nato un‘associazione di lotta all’alcolismo. 

Mantengo le mie abitudini anche con mia figlia, lei vorrebbe mangiare solo pasta e io dico devi mangiare anche altre cose, noi mangiamo molto il riso lei solo pasta perché a scuola mangiano pasta. L’ultima volta che siamo andate in Perù lei ha parlato spagnolo con i nonni i primi giorni per la nonna era come se parlasse arabo poi la mia mamma ha 

avuto la pazienza di ascoltarla anche se non capiva tutto e la piccolina parla tanto e veloce ma si faceva capire e la mia mamma le rispondeva in spagnolo e così ha imparato siamo state un mese ed è tornata qui che parlava spagnolo quindi ora le parlo in spagnolo per rafforzare la lingua. Là abbiamo avuto l’opportunità di vedere bambini che stanno male, in piazza che chiedono l’elemosina e le spiegavo alla signorina “ vedi tu hai mamma e babbo e ci hai le cosine per mangiare” infatti quando qui non vuole mangiare le dico io le porto a quella bambina e lei capisce. Ora fa la preghierina anche per loro vuol dire tanto che vedendo capiscono certe cose Ho chiesto la cittadinanza italiana e in 8 mesi me l’hanno dato di solito ci vogliono 2 anni, l’ho chiesta anche per essere agevolata con i documenti, se non sei cittadina all’aeroporto ti fermano per accertamenti invece ora ho le due cittadinanze perché sono anche peruviana non ho rinunciato alla mia quindi normalmente mi comporto come peruviana perché deve essere così però quando iniziano a dire “sai solo i cittadini … “allora intervengo “anch’io sono cittadina e c’ho i diritti”, soprattutto non deve esserci la differenza però a volte bisogna ricordarlo a qualcuno. 

La maggioranza degli stranieri qui non è latino americano, sono dell’Est, marocchini, pakistani allora per fare la presidente dell’associazione io proporrei Faizah delle isole Mauritius, lei parla 5 lingue più il francese, l’inglese, parla le lingue di loro allora è giusto che lei faccia la presidente della associazione che stiamo costituendo, perché lei è in contatto con molte persone di lingua araba, tanti la chiamano per farsi spiegare le cose. Al centro trasfusionale vengono solo i maschi arabi si è detto potete portare anche le moglie e portano le mogli con vestiti chiusi fino al collo e per fare il prelievo devo togliersi tutto ci tocca spogliarle e mettere un lenzuolino sopra così non hanno più la voglia di tornare, allora gli ho detto comprate una tutina un po’ più larga. All’Azzurra faccio i prelievi, il venerdì prima come volontaria, ora ci danno un piccolo bonus, mi prende tempo ma cerco di farlo. Prima di sposarmi ho fatto qualche anno di volontariato sul 118. A 25 anni mi sono sposata e la bambina è nata 10 anni dopo, si lui è peruviano, noi ci si innamorava già là, prima di venire qua. E’ il primo amore, ci siamo conosciuti prima di laurearmi, si studiava insieme, poi è cresciuto l’amore ma io sono dovuta partire per l’Italia, s’innamorava a distanza con letterine, anche le nostre nonnine là ci dicono che in tempo di guerra si innamorava con i mariti con piccole letterine che tenevano sul cuore finché non arrivava un’altra lettera e mi fa ricordare che non c’era cellulare. Le lettere arrivavano anche dopo 2 mesi, noi abbiamo superato anche questo, quella barriera. Quando mi hanno assunto allora sono tornata in Perù e ci siamo sposati. Le colleghe mi hanno fatto una festina bella, siamo andate al piazzale Michelangelo a farci delle foto e lui è venuto con il ricongiungimento familiare ed appena arrivato voleva un figliolo e io gli dicevo di aspettare, non aveva ancora un lavoro e io avevo solo 25 anni; dopo un paio di anni ha avuto un lavoro e io mi sono messa a studiare per il mio master ed allora gli dicevo “Aspetta che finisco il master, poi facciamo il figliolo”. E’ passato il tempo, sono passati 10 anni e poi si è pensato sarà il caso di fare un figliolo? 

Adesso penso che qui a Pontassieve ci vuole un’associazione tra noi stranieri di tutte le nazionalità per organizzare feste interculturali, scambiarci informazioni, aiutarci tra noi e soprattutto per i bambini, per insegnarli le nostre culture e stare insieme.

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