LA LEGNA È IL MI’ PANE: IL MESTIERE E LA PASSIONE

Storia di Antonio D’Ascenzi 
A cura di Cecilia Meacci

Sono D’Ascenzi Antonio, presidente di SOFEA e vice presidente di Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, boscaiolo di mestiere.

Mi hanno portato a Londa i genitori che avevo 12 anni. Siamo venuti qui perché avevamo i muli e in Toscana non erano attrezzati per lo smacchio dei boschi. Avevano qualche ciuco o qualche cavallo, ma non erano in grado di tirare fuori la legna dal bosco come gli abruzzesi. Siamo venuti qui, i genitori, i fratelli e un garzone, da un paese in provincia dell’Aquila, quasi al confine con il Lazio. Si chiama Cappadocia, è alto 1100 metri. Avevamo quindici muli e per diversi anni si è lavorato per delle ditte a cottimo. Si tirava fuori la legna dal bosco e si portavano anche altri materiali. Mi ricordo la prima acqua a Londa. Non c’erano strade e noi si portava rena, cemento, mattoni e si attaccavano i tubi dietro i muli per fare il deposito sotto le Massicaie. Anche per fare diverse linee elettriche si è portato tutti i materiali noi, con i muli, sicché fare il vetturino era un mestiere valido a quell’epoca.
Noi s’era parecchio attrezzati. Venivano delle ditte toscane a fare il mercato a Roma per trovare dei vetturini, che noi poi si chiamavano mulattieri e in Toscana c’hanno cambiato il nome. Il vetturino toscano caricava e scaricava a mano mentre noi s’aveva il famoso ribaltabile. A quell’epoca noi si portava anche il carbone, due balle per volta, una di qua e una di là mentre i toscani, sul basto, ne portavano una sola a traverso. Sì, s’era parecchio competenti per queste cose e dal paese mio, che era un paese dove tutti erano mulattieri ci si veniva volentieri qua. Mi ricordo che il mi’ nonno diceva che in paese c’erano duemila muli che facevano tutti lo stesso lavoro e così c’era parecchia concorrenza. Se si veniva quassù si potevano buscare diversi soldini. Allora, per esempio, un operaio pigliava trentamila lire al mese, noi si buscava quindicimila lire al giorno, mille lire al giorno per ogni mulo.

Ho fatto il mulattiere a cottimo per diversi anni, poi negli anni ’85, ’86 ho cominciato a comprare qualche bosco da me e a lavorare per conto mio. Pigliavo qualche operaio perché facevo tagliare la legna a cottimo e dopo io la portavo fuori dal bosco e la vendevo.

Ora ho sessantotto anni, sono del ’46 e di casa sono stato l’unico che ha resistito a fare ancora questo lavoro perché già da bambino m’è sempre piaciuto. Il mio fratello più piccolo non è mai andato dietro i muli , ha studiato e dei muli non ne ha mai voluto sapere. Quello più grande l’ha fatto per diversi anni, però non gli piaceva tanto perché il lavoro del vetturino è faticosissimo. E’ un mestiere bello, se uno lo fa con passione, ma è faticoso perché stai sempre a contatto coi muli e loro non guardano né sabato, né domenica. Poi noi abruzzesi con i muli siamo competenti su qualsiasi cosa. A quindici anni io ho dovuto imparare a mettere i ferri perché con il mi’ babbo non si lavorava quasi mai insieme, s’andava uno di qua e uno di là a seconda di dov’era lo smacchio e da quindici anni in poi , oltre che fare il lavoro, dovevo anche ferrarli e fare il lavoro del maniscalco. 

Negli anni ’85, ’86 hanno cominciato i figlioli. C’avevo due figlioli piccoli e li facevo venire con me anche per fargli vedere un po’ come si fa. A uno gli è sempre piaciuto, ma non con i muli, a lui piaceva andare con il trattore e l’ha sempre fatto e lo fa tutt’ora volentieri. Mentre l’altro figliolo ha provato a fare altri due o tre mestieri ma ora, con la crisi come c’è stata, non c’era più lavoro ed è tornato a fare il boscaiolo.

Ho provato anche a vendere i muli e a comprare uno o due trattori sempre perché i figlioli non ne volevano sapere, ma poi c’era da smacchiare della legna scomoda dove non ti facevano passare e l’ho ricomprati. Questa è una zona che senza muli non si fa. Io ho provato perché poi si può lavorare con i verricelli, le canalette, le teleferiche, però se uno è giovane e ha passione a manda’ i muli è la meglio cosa. Si spende meno e si arriva dappertutto e la legna si piglia in mano una volta sola. I miei figlioli hanno imparato a scaricare con il ribaltabile già da piccoletti e l’hanno quasi sempre fatto ad avanza tempo. Quando c’avevano dodici o tredici anni mi chiedevano le mille lire e io allora gli dicevo: “Sì, te le do, ma bisogna buscarsele, perché non è che vengano da niente”. Allora quando finivano la scuola, venivano tutti e due con me, me la scaricavano e abbarcavano e io la sera gli davo le mille lire. Si sono appassionati, ma uno si è appassionato perché gli piacciono i trattori.

Ora ho quattro muli e una cavalla, anzi sono cinque perché ce n’è anche una piccolina. Tra l’altro quindici giorni fa sono venuti dall’Università. E’ venuta una professoressa, un dottore e una figliola che vuole fare la tesi sui muli. E’ appassionata di cavalli e, va anche al maneggio a Rincine. Gli feci vedere come si fa a caricarli, poi la feci anche montare sopra, col basto. Era tutta soddisfatta. Sono interessati e quando hanno visto la cavalla che tra un mese deve figliare, vogliono tornare a misurarla e a pesarla.

Perché il problema qual è? Cinquanta o sessanta anni fa, nel dopoguerra, son venuti di quassù per portare su gli abruzzesi perché qui non c’era il mestiere e ora risuccederà un’altra volta perché qui non c’è iniziativa di chi vuole mandare i muli oppure non c’è chi gliene insegna ai ragazzi giovani. C’è gente che gli piacerebbe, ma ci vorrebbe un po’ di scuola. Con i trattori non si va dappertutto. Da noi, al paese mio, c’erano dei ragazzi giovani che avevano smesso e ora stanno riiniziando perché hanno visto che il mestiere sta tornando di moda. Qui ci sono dei ragazzi che sono interessati, che vorrebbero essere chiamati quando imbasti, ma avendo anche i trattori non ti metti a confondere e a chiamarli quando adopri i muli per una settimana sola. Sì, l’interesse c’è, anche quei ragazzi che fanno il servizio civile a Rincine me lo chiedono sempre di fargli vedere come si fa, un giorno l’attacco e li chiamo perché c’è l’interesse di imparare. Però bisognerebbe che ci fosse un pochino di scuola, per dire, come c’è per tagliare le piante, si dovrebbe insegnare anche a mandare i muli. Perché il mestiere di vetturino è un mestiere faticosissimo, ma se uno ha passione, è un mestiere che ha un domani. Si buscherebbe, ma devi avere tanta voglia di lavorare. Tra l’altro, per dire, tre o quattro mesi fa mi chiamò un ragazzo albanese, che si è messo a fare ditta per conto suo, se andavo a smacchiargli due o trecento metri di legna. “Guarda, io non vengo perché lavoro per l’azienda mia e basta”. Un altro, là di Borgo, una ditta: “Tonino trovami un po”. C’ho mandato uno di un paese in Romagna.

Ora un po’ di richiesta c’è di nuovo, e il mulattiere è un mestiere buono. Basta che ti dico che tutti gli abruzzesi del paese mio, perché qui a Londa ce ne sono stati tanti a smacchiare anche prima di me , prima del ’58, hanno comprato tre, quattro appartamenti e anche palazzi interi a Roma, perché buscavano, sicché hanno fatto di’ bene.

Ma a me di questo lavoro piace anche il fatto che stai sempre fuori, in mezzo alla natura e anche questa è una cosa importante. Lavori a contatto con degli animali e anche questo è bello. Tutti gli animali, ma specialmente ai muli e ai cavalli gli manca di parlare… e poi mi piace soprattutto che posso fare quello che voglio. Perché, prima di andare a fare il militare m’era quasi passata la voglia, me l’aveva fatta passare il mi’ babbo. Durante la settimana non c’erano problemi, bisognava lavorare; il sabato bisognava lavorare, ma addirittura bisognava lavorare la domenica mattina e a me lavorare di domenica non mi piaceva. Allora gli dicevo: “Vabbè, lavoriamo la domenica mattina”. Però non bastava perché la domenica sera c’era sempre da mettere qualche ferro. Con 15 muli c’era sempre da mettere un ferro a quello, un ferro a quell’altro. Uno comincia ad avere diciassette, diciott’ anni, comincia ad andare dietro alla figliola e diventa un problema grosso. E allora a me era passata la voglia, non lo volevo più fare. Sono andato a fare il militare e, quando ero là, era tutto un ordinare: artigliere qui, artigliere là. “Quando torno a casa, piglio i muli e non voglio più sapere di sottoposti, né nulla”. Perché in questo lavoro ognuno fa come vuole, certo bisogna darsi da fare, ma la mattina non c’è nessuno che ti dice che devi fare questo o quello; lo sai da te quello che devi fare e in cinquantacinque anni ho sempre deciso io cosa fare e questa è una cosa bella.

Nell’azienda mia ho quasi tutto bosco ceduo, la maggior parte buono per fare legna da ardere, poi c’è anche un po’ di palatura e qualche pianta da lavoro. Negli anni cinquanta, sessanta invece veniva adoprato quasi tutto carbone, tant’è vero che quando ho iniziato, a dodici anni, il mi’ babbo mi dava due o tre muli e andavo da solo a caricare la brace. C’erano le squadre che tagliavano il bosco e in più, la mattina facevano la brace. Noi in quel periodo si caricava carbone e brace. La legna è venuta dopo, è cominciata dopo gli anni ’60. Mi ricordo che proprio su a Rincine, avrò avuto diciassette, diciotto anni, furono fatti brace e carbone in duemila metri di legna. Li portai via quasi tutti io e il mi’ babbo mi insegnò a caricare il carbone. E’ una maestria anche quella! Caricare le balle di carbone è un pochino diverso rispetto alla legna. Intanto devi essere come minimo in tre o quattro a caricare e poi devi fare un gioco differente con l’imbrago perché il carbone non lo puoi buttare giù come la legna, se no si finisce di tribbiare. Il carbone è bello quando è intero e con il ribaltabile il carbone non si poteva fare. E ancora diverso era caricare le traverse, quelle che venivano usate per le ferrovie. Prima era tutta legna di quercia e una persona, con un gioco di bilanciamento, riusciva da sola a metterle sul basto. Per dire, da me caricavo quasi un quintale di roba. E’ un mestiere. 

Dicevo prima che la brace e il carbone ho imparato a caricarli a Rincine. L’azienda era di un privato, fu venduta: più di mille ettari di terra a trentotto milioni. Ti parlo del ‘59/’60. Se il mi’ babbo voleva investire qui, si poteva comprare noi. Comprò una ditta romagnola che faceva il lavoro mio. Avevano una dozzina o quindici muli. Si fecero da una parte e tagliarono tutto il bosco a zero, centinaia di ettari di bosco. Dove ora ci sono le abetine e le pinete invece c’erano tutti campi, le pasture degli animali. In quegli anni fu tagliato tutto il bosco ceduo. Addirittura c’erano da ottanta a cento muli a smacchiare e portare fuori. Allora si poteva tagliare tutto e dov’era bosco fare pulito. Ti dirò che quando venni qui, da bambino, e vedevo quelle montagne intere di venti, trenta ettari tutte tagliate pensavo: “ Se continua così il lavoro fra un po’ un’ s’ha più”. Gl’ha rimesso prima il bosco! Questa ditta romagnola, prima tagliò raso d’ogni cosa e poi rivendettero. Comprò l’Ente Cellulosa e cominciarono a fare tutte quelle piantate di conifere, però gli anni precisi ora non me li ricordo, ma non prima del ’65. Ma ti posso dire un’altra cosa, Londa e Stia non erano collegate, si è portato via noi il legname dove c’è passata la strada, sicché era sempre negli anni ’60. A Mandri c’erano tutti castagni grossi, venivano spaccati, poi noi si levava la legna. Allora non è che c’erano queste ruspe grosse che ci sono oggi, c’erano delle ruspe molto più piccole che facevano subito la strada appena noi si levava la legna.

E sì, mi ricordo diverse cose e da quando sono qui ho visto una grande trasformazione del territorio e noi, diciamo, siamo stati utilissimi. E quando dico noi, intendo tanti abruzzesi che sono venuti qua. Non voglio dire una bischerata, ma ogni due o tre paesi c’è una famiglia del mi’ paese. A Dicomano, la moglie del gelataio è una paesana mia perché il suo babbo faceva il lavoro mio. A Vicchio c’è un altro paesano che è quello che porta il latte, poi a Barberino, insomma in tanti posti. Siamo rimasti in contatto, ma soprattutto penso perché s’era già ragazzetti allora e ci siamo sposati qui e siamo rimasti qui. I genitori, però, sono tutti ripartiti, non sono rimasti qui, son tornati tutti a Roma. Perché la cosa sua era venire, fare un po’ di soldi e poi ritornare. Come dicevo al mi’ babbo gli capitarono diverse occasioni per comprare e lui sempre: “Io qui non ci voglio investire nulla.” E io a insistere: “Ma compriamo!” Un giorno mi fa: “Ascolta, io ho patito la fame al paese mio e qui non ci voglio investire nulla; voglio fare dei soldi e ritornare.” Da quella volta lì, non gli dissi più nulla. Stava qui per mettere da parte qualcosina per poi riportarsela via. Io sono rimasto e anche una mia sorella, ma è morta giovane, aveva un anno più di me. Ci siamo fidanzati e poi sposati, stava nella parte di qua della casa. La mi’ moglie è di Londa, era figliola di un carbonaio, il su’ babbo faceva il carbone, lo stesso lavoro.

Ma dagli anni ’70 in poi il lavoro nel bosco è cambiato parecchio. Per dire, per quanto riguarda lo smacchio della legna, noi si smacchiava tutto l’anno, si lavorava nel bosco tutto l’anno. Ai muli gli si metteva la gabbia, perché c’era un rigore grosso anche allora, non è che uno faceva come voleva. Ai muli bisognava mettere le gabbie sennò spuntavano le rimesse nuove. Con le gabbie, danno non ne potevano fare. Le regole c’erano e tante cose non si potevano fare nemmeno allora. Tant’è vero che il mi’ babbo s’è preso due o tre multe. Alle volte arrivava la Forestale e magari te ne trovava qualcuno senza gabbia perché succedeva che c’era qualche mulo che andava a grattarsela. Non c’era verso, ti facevano la multa. E facevano la multa alla ditta anche se il bosco non veniva lasciato pulito. Prima la regola era che dovevi bruciare. Guai se la ditta lasciava una scopa in piedi. Se c’era un ciuffo di scope ti facevano la multa, oggi ti fanno la multa se lo tagli. Ma quelle scope, quelle ceppaie, se le tagli ributtano orgogliose, se le lasci vanno a seccarsi tutte. Quando venni qui, i primi anni che venivano fatti questi tagli grossi, per andare a smacchiare di là, si attraversava tutto il bosco con una strada mulattiera. Si sentiva un profumo che era una bellezza: si sentiva il profumo dei ginepri, delle scope, delle ginestre. Oggi, se vai nel bosco, senti un odore di mortorio, è facile che sia tutto secco, tutto in terra. Se il bosco passa il turno, le scope si seccano da sé, perché tutto il sottobosco va a seccarsi, i ginepri uguale e le ginestre uguale. Qualcuno ha un po’ l’idea che il bosco fa bene da sé, ma non è vero nulla perché va a finire che piano, piano si secca tutto, si sbarba tutto e si sciupa. Quando una ceppaia di castagno o di quercia è cascata giù, quella ceppaia lì, non ributta più, ci nascono i pruni. Il bosco si sciupa a non tagliarlo, non a tagliarlo. Quando e come tagliare poi, va visto a seconda del tipo di legno, e devi anche vedere la pendenza e il terreno che c’è sotto. Anche se non c’è pendenza e il bosco è su un poggiolo, ma sotto è tutto galestro, devi tagliare perché quel terreno non reggerà le piante grosse e verrà giù tutto. Dall’altra parte, con le leggi che ci sono ora anche la situazione del bosco è stata stravolta tutta e sono nati un monte di problemi. Se il bosco passa il periodo, la legge dice che devi fare l’alto fusto. Ma questi non sono posti per fare l’alto fusto, le piante vanno giù tutte. Io sono sempre stato contrario. L’alto fusto è bello, ma si sciupa tutta la natura. Quando m’infilo in un bosco con una pendenza grossa e mi vedo tutto rovesciato giù, a me mi piange il cuore. Ma non perché fo il mestiere di boscaiolo, ma perché non posso vedere i boschi rovinati. 

Ora con Foresta Modello se ne parla e se ne riparla e pare che siamo più ascoltati. Era passato un periodo che ti facevano fare comunque l’alto fusto se il bosco aveva passato i trentacinque anni e il terreno come era, era, anche nei balzi. Io non discuto, in qualche posto l’alto fusto può essere anche bello, per esempio in una bucata dove c’è parecchio terreno sotto e non c’è pericolo di frana, ma non dove c’è tutto galestro e ci sono delle matricine che hanno cinquanta o sessanta anni e magari hanno la punta secca. Veramente qua in zona io non lo vedo bene da nessuna parte, ma tanto meno in dei balzi dove non si sta nemmeno in piedi. La legge ancora non è stata cambiata, devi fare l’alto fusto dopo i 35 anni, ma praticamente fino ai 45 ci sono sempre più deroghe. Poi oggi c’è anche parecchio ingrullimento, domande e quella cosa e quell’altra. Vorrei che fossero un pochino più elastici. E’ anche vero che le grandi proprietà sono state smembrate e parecchie volte ha comprato gente che ha vissuto in città. Per esempio comprano abeti, pini e li mettono vicino alle case e questa è una cosa molto, ma molto pericolosa. Non passa un anno che non vada a tagliare a questo o quell’altro. Poi del bosco non se ne intendono per nulla e non conoscono il territorio. Se c’è una strada vicinale che magari va ad un bosco sopra e che passa nella sua proprietà, il nuovo proprietario non vuole che tu ci passi. Certamente non è che uno deve andare lì e buttargli giù tutto, bisogna essere anche riconoscenti, ma se uno ci passa e gli risistema tutto com’era, senza sciupargli nulla, il permesso di far passare la gente lo dovrebbero dare. E anche il Comune dovrebbe intervenire perché la maggior parte delle strade sono state fatte con il Consorzio, per poter portare via il legname e le varianti di strade vicinali, gli spostamenti ci possono anche essere ma le strade chiuse del tutto non va bene.

Ma per ritornare al discorso che si faceva prima, si è passato un periodo, dopo il ‘70, che c’è anche stata meno richiesta di legna e di boschi ne sono stati tagliati meno. Tanti bravi carbonai e tagliatori toscani che avevano il mestiere, come l’avevano anche da noi il mestiere, hanno smesso perché pensavano non ci fosse più futuro e i boschi si sono invecchiati e stanno cascando. Gli anziani non hanno insegnato e i giovani non hanno preso il mestiere. Allora hanno cominciato a venire su i tagliatori marchigiani, loro la frasca come cascava e come la lasciavano. Questa usanza l’hanno presa anche i tagliatori albanesi e rumeni che ci sono ora. Non gliene hanno insegnato. E’ proprio un insegnamento che uno gli deve fare in partenza. La prima volta che si va a smacchiare in un bosco dove c’era stata la squadra marchigiana, s’arriva e il viottolo non si sapeva dov’era e c’erano delle cataste con dei tronchi così, che non si potevano caricare. S’andò dalla ditta: “Se non mandi qualcheduno a spaccare, noi non ti si porta fuori”. La legge ammetteva proprio quello, la legna spaccata e il viottolo pulito.

I cambiamenti, in cinquantacinque anni di mestiere, ci sono stati e sono stati anche tanti, di sicuro è cambiato il territorio, è cambiata la gente e sono cambiate anche le regole. Quando passò la prima volta il metano a Londa, qualche quindici anni fa dissi: “Addio, mi toccherà a cambiare lavoro”. Pensavo davvero che andasse a morire tutto, un po’ come dopo il ’70, quando tanti hanno smesso il mestiere. Poi sei o sette anni fa c’è stato il ritorno alla legna e anche qui, nella zona, parecchi hanno rimesso il caminetto, le stufe e le caldaie. Sicché richiesta c’è, ma non c’è più il margine che c’era prima. Ne entra tanta dall’estero a prezzi stracciati e non si può competere. Loro la mandano qui belle e segata e rispacchettata e ci sciupano il prezzo. E anche qua ci sono delle ditte di albanesi o rumeni, che hanno poca liquidità e la vendono a prezzi stracciati. Perché, io credo che la legna, con tutta la fatica che si dura, rispacchettata e portata a casa a tredici euro il quintale è svenduta. E questo è il prezzo che fai ai privati e io la vendo solo a loro, perché all’ingrosso ti danno cinque o cinque euro e mezzo al quintale.

Allora, con tutti questi problemi che ci sono, mi sono detto: “Vediamo se si lascia ai figlioli qualcosa di meglio” Volevo vedere se ai giovani gli lasciavo meno problemi. Abbiamo fatto la SOFEA che è l’associazione dei boscaioli riuniti e m’è capitata l’occasione di andare in Spagna con Foresta Modello. Abbiamo visto delle segherie, dei boschi, poi ci si mise intorno a un tavolo con gli amministratori e capii che con F.M. sono andati a migliorare là. Ci vorrà del tempo, ma almeno dici la tua sui problemi che ci sono e riporti la competenza che ti viene dal mestiere. Una cosa sola mi dispiace ed è che mi sono fermato alla quinta elementare soprattutto ora, hai visto, entrando in F.M. Mi sono un po’ pentito di non aver fatto almeno qualche anno di più. Ma vedi, quando ero bambino, con il lavoro che si faceva noi, s’era un po’ come gli zingari. Il mi’ babbo si spostava tre mesi da una parte, tre mesi da un’altra secondo dove c’era la legna e noi si cambiava paese e tutte le volte la scuola. S’era sempre addietro. Poi io quando tornavo a casa, pigliavo la cartella e la buttavo sulla seggiola e fino alla mattina dopo non la ripigliavo, anche se c’era da fare i compiti. Perché? Perché mi piaceva andare a cavallo, coi muli e coi cavalli, la passione mia era quella.

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