MEGLIO POVERA IN ITALIA CHE RICCA IN ALBANIA!

Storia di Rovena 
A cura di Alessandro Messini

Mi chiamo Rovena, sono nata a Vlore (Valona, come gli italiani chiamano la grande città costiera dell’Albania) quaranta anni fa.

La mia famiglia era già una famiglia un po’ particolare quando sono nata io, perché i miei genitori, entrambi molto giovani, benché avessero già due figli maschi decisero di divorziare quando la mamma era incinta di me da tre mesi.
Mio padre se ne andò da casa e si rifece una famiglia con una nuova moglie ed un’altra figlia. 

Noi tre, nel frattempo ero nata io, rimanemmo con la mamma. Dopo vari anni si unì a noi anche la nonna, la madre di mia mamma, la mia cara nonnina !

Mio padre veniva, ogni tanto, a portare dei soldi, ma era denaro che non bastava e la mia mamma doveva lavorare. Lavorava in una fabbrica di farine che era vicino a casa nostra. Io ricordo la mia mamma sempre al lavoro, sempre indaffarata e stanca. Avrà lavorato… per almeno trentacinque anni!

In estate, noi bambini, quando la mamma era impegnata con il lavoro, andavamo al mare. Una mezzora di cammino ed eravamo sulla spiaggia. Mio fratello maggiore si prendeva cura di noi piccoli. Portavamo con noi qualcosa da mangiare per il pranzo e trascorrevamo l’intera giornata sulla spiaggia. Il mio fratellone mi insegnava anche a nuotare. 

Anche quando la mamma era libera, trascorrevamo delle giornate simili, ma quando eravamo da soli… era meglio! Se avessimo avuto una necessità seria, potevamo rivolgerci ad una zia che abitava vicino alla spiaggia. 

Poiché i soldi, con tre ragazzi che crescevano ed andavano tutti a scuola, non erano mai abbastanza, la mamma, come molte altre donne del popolo, ogni tanto vendeva anche il sangue. 

Il sangue veniva pagato con il corrispondente di cinque euro ogni 300 grammi.

Ricordo che dopo ogni vendita la mamma era debole e stanca ed avrebbe dovuto cercare di recuperare mangiando molto, soprattutto carne …ed invece…. 

Comunque, con quei soldi lei riusciva a fare la spesa per il mangiare di tutta la famiglia per vari giorni, almeno quattro o cinque.

La mamma smise di lavorare quando aveva 42 anni, perché tutte quelle fabbriche che c’erano prima in Albania, con l’arrivo della democrazia furono trasformate in reparti e vendute ai privati ed il lavoro per tutti non c’era più. 

La mamma ebbe soltanto un’assistenza economica per circa un anno e nessuna pensione. 

Insomma, la mia è stata un’infanzia un po’ difficile e questa situazione è andata avanti per molti anni, almeno fino ai miei dieci/undici anni.

In seguito, il mio fratello più grande, all’età di circa quindici anni, cominciò a lavorare. 

Gli aveva trovato lavoro il nostro … papà. (Mi pare strano chiamarlo “papà”, perché io non l’ho mai chiamato “papà”, perché non c’era mai, non era mai presente con noi).

I miei fratelli sono più grandi di me: di due e di quattro anni. Siamo sempre stati una famiglia molto unita, ma con il padre no, perché non c’era. Anche lui viveva lì a Valona. Era un tecnico. Uno di quelli che chiamano quando devono costruire una casa,… un geometra, credo si dica in italiano.

Quindi, piano piano, il mio fratello maggiore ha cominciato a lavorare fra i muratori, con l’aiuto di nostro padre e questo ha dato un po’ di respiro alla nostra economia familiare.

Anche l’altro fratello, dopo la scuola dell’obbligo, ha cominciato a lavorare. Non lo faceva volentieri perché parlava sempre di scappare, di andare via dall’Albania, di venire in Italia. Cosa che gli riuscì soltanto quando ebbe venti anni.

Anche io, intanto, crescevo. 

Dopo le scuole obbligatorie, che in Albania, come in Italia, arrivano fino ai quattordici anni, frequentai le superiori per soli due anni. Poi smisi ed interruppi senza raggiungere alcun diploma.

Sono quindi rimasta a casa, ma per poco tempo perché cominciai a fare l’operaia in varie fabbriche: prima in una di vestiti, dopo in una di scarpe …ed ho anche fatto la commessa, in un negozio di argenteria. 

Nella fabbrica di scarpe ci sono rimasta per circa sei mesi, quando avevo circa diciotto o diciannove anni. 

Eravamo tutte ragazze, dai diciassette anni in sù, ma gli impiegati erano tutti italiani. 

Io non mi sentivo a mio agio; stava crescendo anche in me, sempre più forte, il desiderio di venire in Italia. Anche variare lavoro ed andare a fare la commessa, non ha fatto diminuire la mia voglia di cambiare radicalmente il mio ambiente di vita.

Il primo della famiglia a partire per l’Italia fu il fratello più piccolo. Aveva solo una ventina d’anni. I soldi li aveva dati nostro padre. Lui è venuto qui con …il gommone, in maniera clandestina. 

Noi avevamo tutti paura per lui e non volevamo, perché era troppo giovane. Nostro padre avrebbe voluto mandare il maggiore, ma lui si impuntò e riuscì a trovarsi un posticino per l’imbarco. Lui è un tipo deciso e non ci fu verso di fare altrimenti.

Quando arrivò in Italia, fu mandato in un istituto, a Reggio Emilia; e lì cominciò a studiare l’italiano. Credo fosse il 1994 perché ricordo che c’erano le partite di calcio di tutte le nazioni e del mondo e l’Italia perse con in Brasile.

Nel giro di un paio d’anni, lui cominciò a lavorare ed a mandare dei soldi a noi che eravamo a casa. Ogni tanto ci spediva anche delle registrazioni, dei CD in cui ci raccontava cosa aveva fatto e cosa stava facendo: il viaggio, la paura di quei momenti (sul gommone era il più piccolo e quindi il più debole), ma anche la vita successiva: i primi lavori, le amicizie e ci raccontava anche della ragazza italiana che aveva conosciuto. A casa, in Albania, ci sono ancora quelle registrazioni. Forse si stanno sciupando, ma non le ho buttate.

Mio fratello si fidanzò con una ragazza italiana e quando arrivò il primo figlio si sposarono. Adesso lui ha tre figli. Aveva lavorato in una fabbrica in cui venivano fatti i tessuti per le auto, ma adesso lui lavora per conto suo. E’ bravo mio fratello; è un tecnico per le caldaie da riscaldamento e per i condizionatori d’aria. Non è un mestiere imparato in collegio, no. Ha imparato a fare questo lavoro grazie al fratello di sua moglie, che già faceva questo mestiere. In principio, quando era libero dal lavoro in fabbrica, cominciò ad aiutare il cognato per arrotondare, visto che la famiglia cresceva e lo stipendio era sempre troppo basso. Poi, piano piano, ha imparato molto, si è preparato con dei corsi ed adesso con suo cognato ed un altro amico, sono soci e lavorano in proprio.

Nel frattempo io ero ancora a Valona, con la mamma e c’era ancora l’altro mio fratello, il maggiore, ma per venire in Italia non siamo partiti tutti e tre insieme .

Questo mio fratello aveva preso a lavorare in una fabbrica di pupazzi, giocattoli con portafortuna e cose simili. Si fidanzò e dopo qualche tempo riuscì a procurarsi un visto regolare per venire in Italia, dove c’erano già molti dei suoi conoscenti. Riuscì a trovare lavoro anche in Italia e poté far venire in Italia anche la sua donna. 

Credo fosse …il 1998, ma non sono sicura. Era il periodo in cui lavoravo nella fabbrica di scarpe e dopo, nel negozio di argenteria. C’erano ancora la mamma e la nonna, che è morta soltanto nel 2002.

Ricordo comunque che avevo sempre un gran malessere, una grande voglia di uscire da quell’ambiente che non mi accontentava e di venire qua. …Mi attiravano tutte le cose di cui parlava mio fratello nelle sue registrazioni, …tutto il modo di vivere che c’era qui.

In quel periodo lui mi mandò anche una richiesta per un visto. Avrei potuto venire in Italia per una o due settimane, ma al Consolato Italiano mi fu detto che per avere la convalida avrei dovuto portare con me una somma di denaro che corrispondeva ad almeno 3000 dei nostri soldi. Risposi che se avessi posseduto quella somma sarei rimasta in Albania senza lavorare, anziché andarne in cerca in Italia.

Anche un secondo visto, inviatomi dal fratello più grande non andò bene ed io sono riuscita ad avere la prima convalida per l’Italia, soltanto quando avevo già compiuto 23 anni ! 

Avevo invece 27 anni quando decisi di dare una scrollata alla mia vita ed andai a vivere con il mio compagno. Facemmo tutto di corsa: una festa a casa mia, con parenti, amici e conoscenti e dopo mi sono trasferita a casa sua, dove c’erano già la sua mamma, suo fratello e sua cognata. 

Abbiamo coabitato per vari mesi, forse quattro, ed a me mancava molto la mia mamma. Questa nuova famiglia, più grande della mia, si stava attrezzando per avere maggior spazio a disposizione: stavano costruendo una sopraelevazione alla loro casa e quando il rialzamento dell’abitazione fu ultimato, i miei cognati andarono ad abitare nell’appartamento di sopra mentre noi sposini rimanemmo lì con mia suocera. 

Ho abitato in quell’appartamento per circa otto anni. Ma anche il cambiamento di vita non mi appagava. Avevo sempre questo rovello di venire in Italia. Ho perfino provato ad andare in Grecia: il mio compagno partì e rimase lì per circa due mesi. 

Per una decina di giorni, lo raggiunsi anche io, ma non mi piacque e non fu solo per la lingua! (Io sapevo la lingua italiana e non quella greca, … a causa della televisione. Avevo imparato anche l’inglese dagli attori della televisione, ma la lingua italiana mi piaceva di più). Ci siamo provati a stare in Grecia, …ma io avevo sempre questa fissazione di venire qua. Facevo anche dei sogni in cui …. mi vedevo, addirittura, che andavo dietro ad una nave diretta in Italia, senza sapere se ero su qualche mezzo, se nuotavo o se volavo, … comunque andavo!

Infine, sono venuta in Italia nel 2011, per fare degli esami medici. 

Stavo in casa del fratello del mio compagno che era sposato e viveva a Rufina, con la moglie. Mia cognata mi accompagnava a Careggi per i vari esami e poi tornavamo a casa insieme. 

Avevo un visto di tre mesi e sapevo che sarei dovuta tornare in Albania, ma qui mi sentivo rinascere; non mi sembrava vero, mi ero abituata subito, mi sentivo come se fossi sempre stata qui, come se fossi nata qui. Mi piaceva il posto, mi piaceva tutto! Riuscii a ripartire appena un giorno prima che scadesse il visto.

In Albania, ovviamente, ripensavo all’Italia e rimpiangevo quei tre mesi trascorsi qua.

Una mia carissima amica di infanzia viveva a Firenze. Ero riuscita ad incontrarla l’anno prima e lei sapeva della mia inquietudine, dei miei sogni di stabilirmi in Italia. Mi propose quindi di andare da lei e di cercare seriamente un lavoro che mi permettesse di rimanere. Lei era venuta per una visita turistica e c’era rimasta: era qui da circa dieci anni. 

Io ho preso la mia decisione ! L’ho detta al mio compagno ed alla mia mamma e sono venuta. 

La mia mamma non voleva, come al solito. Lei non è mai stata favorevole alla mia partenza. Mi sembrava strano, ma non so il perché. Forse per la vita che ha dovuto fare. 

Al mio compagno dissi che mi sembrava inutile stare ad aspettare che le cose cambiassero da sole, che ci arrivasse dal cielo la cosa che più desideravamo. Dovevamo agire per realizzare quello che ci sembrava essere meglio per noi.

Ho accettato l’invito e sono venuta a Firenze. 

Insieme alla mia amica sono andata ad informarmi su quanto necessario per fare i documenti di residenza, di lavoro e tutti i permessi regolari. L’impiegata mi fece capire che non sarebbe stato possibile trovare lavoro e regolarizzarmi con il solo passaporto che avevo, ma mi informò anche di cosa fosse il ricongiungimento familiare e mi spiegò come fare per far avviare le pratiche con il fratello che da più tempo risiedeva in Italia. Io ero felicissima, non mi aspettavo una così buona notizia! 

Nella mia contentezza, collegai questo evento anche ad una cosa che mi era capitata nel corso del mio precedente soggiorno a Firenze: in Piazza del Duomo avevo acquistato, per souvenir, un calendario con fotografie di monumenti e paesaggi d’Italia, ma mi ero accorta soltanto a casa che non era il calendario dell’anno in corso, il 2011 come io credevo, ma bensì era quello del 2012! Guarda un po’, proprio quello dell’annata in cui, finalmente, sarei riuscita a trovare il modo per poter restare a vivere in Italia! Mi sembrò, da quel momento, un vero e proprio segno del destino: la fortuna aveva voluto annunciarmi che presto sarebbe cambiata in mio favore! A me, che nel corso della vita non avevo mai avuto della Buona Fortuna!

Mi sono quindi trasferita a Reggio Emilia, nella famiglia di mio fratello e lì ho ottenuto il mio primo permesso di soggiorno valido due anni.

Ricordo ancora lo scherzo che mio fratello mi fece, quando arrivò a casa con una faccia triste triste, dicendomi che, purtroppo, il ricongiungimento non era andato a buon fine, che c’erano stati dei problemi, delle difficoltà e che la cosa non si poteva fare, né si sarebbe potuta fare in futuro. Mi fece piangere con quello scherzo, ma alla fine tirò fuori i miei documenti e mi abbracciò ridendo. Lui è fatto così, gli piace fare gli scherzi e creare allegria. 

Con quel primo permesso di soggiorno in tasca, ritornai a Rufina e presi in affitto una casa. Il mio compagno veniva, restava con me per tre mesi e poi rientrava in Albania per creare il necessario intervallo fra un visto temporaneo e l’altro. Naturalmente ci aiutavano i miei cognati ed il mio compagno aiutava il fratello nel suo lavoro.

Io ho cominciato a lavorare. Ho iniziato andando ad aiutare una signora anziana e malata: le facevo la colazione, il pranzo e mi occupavo delle pulizie in casa. Successivamente ho trovato anche altri lavori, un po’ con l’aiuto di mia cognata, un po’ con quello dei familiari della prima signora ed un po’ con il consueto …passa parola. Certo si trattava , e si tratta ancora, di lavori non ufficiali, ..a nero, come si dice, ma è pur sempre un lavoro e sono ormai quattro anni che vivo così.

Adesso il mio compagno abita stabilmente con me, in maniera regolare. Non è più soggetto ai continui trasferimenti perché suo fratello ha ottenuto la cittadinanza italiana ed ha potuto far avere a lui il permesso di soggiorno.

Sì, adesso, per fortuna, sta andando tutto bene. Io, prima, avevo tanta paura che lui non potesse ottenere il permesso di soggiorno per qualche problema…ed invece, nel 2015, lo ha potuto avere. Sono molto contenta di aver raggiunto questa situazione.

Se non fossi venuta in Italia, non sarei riuscita ad immaginarmi cosa c’era qui, come era il mondo qui. Quando sono venuta la prima volta ho visto tante cose ed ora mi sento benissimo, per il lavoro e per tutto. Non ho tanti amici, nel senso che lavoro e torno a casa, senza fare grandi cose, …ma mi trovo benissimo con la gente per cui lavoro, non mi sento a disagio, né per razzismo, né per altro. Mi sento bene. Non sono delusa da questa Italia, io sono felicissima. 

Quando ero a Valona, speravo di trovare qui un lavoro e di mantenermi, perché avevo questo desiderio e lo dicevo anche ai miei fratelli:

-“Voglio venire in Italia non per vivere a casa vostra, ma per avere una vita mia, diversa da questa”.

Volevo fare la stessa strada che hanno fatto loro, volevo fare anche io come loro.

Vivere così in Albania non era possibile. Il lavoro che avevo mi aveva consentito di uscire dalla mia casa per andare a stare con il mio compagno, ma io non ero soddisfatta e riempivo di domande i miei fratelli quando tornavano a trovarci. Il fratello più piccolo non veniva spesso, ma quello più grande veniva ogni anno, perché anche sua moglie aveva ancora i genitori e gli altri parenti in Albania.

La mia mamma, invece, è venuta qui nel 2000, prima di me. In quell’occasione io andai a vivere con mio padre, ma fu solo per un mese circa, perché la sua nuova moglie non c’era, era il Italia a trovare dei parenti. Quando c’ero io, loro due non andavano d’accordo,…io non piacevo a quella donna.

La mia mamma è venuta prima di me perché glielo ha consentito il fratello più piccolo che l’ha chiamata quando sua moglie ha avuto il primo bambino. Poi, la mamma è tornata a casa ed ogni tanto faceva altri viaggi per andare a trovare l’una o l’altra delle famiglie dei suoi figli. Una volta sono venuta io al suo posto: una cosa breve, rapida per abbracciare tutti.

Adesso la mamma sta con il figlio maggiore, anche se il ricongiungimento familiare lo ebbe tramite il figlio minore. Ogni tanto viene da me, altre volte va a Reggio Emilia, Si divide, insomma, fra i suoi tre figlioli, ma maggiormente abita con il maggiore, a Castiglion Fiorentino.

Anche il fratello di Castiglion Fiorentino è un tecnico di caldaie a gas. Lui ha fatto una scuola apposita ed ha due bambini. Sua moglie è albanese. Il fratello più giovane, invece, si è sposato con una italiana ed è padre di tre ragazzi. Il mio compagno è un muratore e lavora con suo fratello, sempre residente a Rufina. Noi non abbiamo figli.

Durante il mio tempo libero, non è che faccio cose particolari. Esco con il mio compagno per un caffè o una passeggiata a Firenze, oppure andiamo a trovare qualcuno dei nostri parenti. A me piacerebbe molto vedere Roma, Venezia e viaggiare, ma… per ora non è possibile e non mi interessa fare altre cose. Sono contenta di avere un lavoro e di potermi mantenere.

In Albania non giudicavo e non mi interessavo della politica, ma non ci stavo bene perché mi sentivo costretta a fare sempre la stessa cosa, …non avevo spazio…mio. Avevo una mia cara amica ed a volte uscivo con lei…, ma non era possibile …che so, rimanere in un locale per un paio d’ore prendendo un caffè ed io avrei voluto fare altre cose, ma il mio problema più importante era quello di lavorare adeguatamente ed ora sono contenta, anche se non è un gran che, sono contenta.

Adesso, ogni anno andiamo in Albania per circa due settimane. Senza fare villeggiatura, non andiamo al mare, non ne vedo la spiaggia da tre anni. Rimaniamo in città, salutiamo amici e parenti. In Albania c’è la casa del mio compagno, c’è mia suocera, che ogni tanto viene anche lei qui da noi, rimanendo per circa tre mesi. C’è la casa della mia mamma. Sono case vuote.

Tutto questo non mi manca, mi manca piuttosto la mia migliore amica, con la quale ero legatissima. Lei è rimasta là e non voleva che io me ne andassi, perché noi due eravamo molto affezionate: le dicevo tutto, ho pianto con lei, abbiamo fatto pazzie ed abbiamo riso tanto. Mi manca la sua compagnia, il suo affetto. Ogni tanto mi manca l’ambiente della mia città natale. … 

Anche se io non sono brava a cucinare, vorrei far conoscere agli amici italiani il nostro piatto tradizionale di agnello al forno. Lo facciamo proprio nel forno in muratura, quello in cui in Italia si fanno le pizze. C’è sempre nelle feste più note e popolari. Per esempio, con la mia amica, sua suocera, mia mamma ed altre donne, in occasione dell’8 Marzo siamo andate a mangiare fuori, noleggiando perfino un pullman per andare a Lac S.Andoi, una località dove ci sono un castello ed un santuario, molto panoramica e molto frequentata. Un po’ come la Madonna del Sasso, qui in zona. Ci sono stata insieme ai miei cognati ed è un posto bellissimo. Io sono musulmana, ma mi trovo bene anche andando in chiesa anziché in moschea.

In Albania non portiamo il velo noi donne musulmane e da noi non c’è conflitto fra moschea e chiesa. Io mi sentivo meglio quando, con la mia amica, andavamo in chiesa. 

Anche negli aspetti quotidiani della vita ci sono molte differenze fra Italia ed Albania. La gente non si esprime nello stesso modo; nella maniera stessa con cui vengono svolti certi lavori per il pubblico. Per esempio, in ospedale (mia suocera soffre di asma) il personale albanese non è umano e disponibile come qui. Se chiami un infermiere perché la malata sta male, quello ti risponde di non preoccuparti, che lui sarebbe venuto dopo e magari si presenta dopo mezz’ora. 

Forse i medici sono anche bravi, ma vengono pagati poco ed i malati, oltre alla tariffa normale, devono sempre mettere in tasca al dottore qualcosa in più, così lui li cura bene, dice loro le cose giuste e dà loro soddisfazione. 

Gli italiani, forse, sono più curiosi ed impiccioni verso la vita degli altri. A me è successo con una vicina di casa che, incontrando me e mia cognata per le scale, ci fece un sacco di domande su dove andavamo, se avevamo la suocera in ospedale e cosa stavamo facendo per lei. Tanto che fummo costrette a chiederle perché le interessassero tanto i fatti nostri.

Per molti versi la vita della gente in Albania è quasi all’incontrario di quella in Italia. Là puoi vedere un sacco di uomini, tanti anche giovani, che passano la giornata stando al bar con un caffè. Mentre qui, chi si ferma al bar per un caffè, lo consuma in piedi, al banco e subito dopo và via velocemente. In Albania vedo persone che sembrano e si comportano da vecchi anche se hanno solo cinquant’anni. Invece qui ci sono persone, magari più vecchie, che ancora sono attive e lavorano, si danno da fare ed amano la loro attività. Gli albanesi non hanno di questi pensieri, ma io credo che chi vuol lavorare lo trova cosa fare. L’italiano è più attivo: preso il caffè, và via.

Qui in Italia il comportamento degli uomini verso la donna, anche in famiglia, è diverso, migliore che non in Albania. Io lo vedo anche nei miei fratelli.

In Albania gli uomini non cucinano, non fanno la spesa, non si occupano mai dei loro bambini. Deve fare tutto la donna. Dai lavori in casa, alla cura dei figli e a tutto quello che riguarda la famiglia.

Forse i miei fratelli sono bravissimi perché vengono da un’infanzia non facile, dove il papà non era mai presente, ma loro fanno di tutto per i loro figli. Là, invece, non vedi mai un papà che si occupa del suo bambino piccolo, mentre qui vedi sempre un uomo che tiene un bimbo, che lo pettina o gli aggiusta il cappottino, che lo segue insieme alla moglie, che fa la spesa con lei e tutte le altre cose.

Dicono che ad una certa età, dopo aver lavorato all’estero per certo periodo, ognuno dovrebbe tornare al suo paese, ma io, almeno per adesso, non ci penso proprio a tornare. Anzi, io penso così: 

“Io starò meglio qui; meglio essere in Italia da povera che in Albania da ricca !” 

La cosa che più mi diverte degli italiani è che sono forse più aperti, meno seriosi. Non mi sono mai capitati episodi di complimenti pesanti, fischi od altro, comunque vedo che tutti si esprimono liberamente senza troppi riguardi nei rapporti fra persone. Ho notato, per esempio, che qui fra genitori e figli, può scappare una parolaccia in più, un atteggiamento poco educato e non succede niente. 

Da noi se usi una mala parola, ti arriva uno schiaffo. Qui i figli sono abituati in questo modo, lo vedo anche nei miei nipoti; il più grande di loro si comporta così, come gli altri ragazzi italiani. 

Non penso che gli italiani siano confusionari, vagabondi, mafiosi o ladri, pappagalli o vanitosi, come dicono gli stereotipi. Quello che io penso è che gli italiani parlano troppo. Veramente, non si stancano mai!! Però sono bravi a cucinare ed io adoro la cucina italiana. Vorrei sempre fare il ragù, le lasagne, ecc. Ogni tanto cucino anche all’albanese, ma purtroppo non sono un’appassionata di cucina ed allora i risultati non sono buonissimi.

Non saprei cosa consigliare agli italiani. Mentre agli albanesi vorrei dire le parole di un mio cugino: “…Non è mai tardi per venire in Italia…”.

Io penso che se vuoi veramente una cosa, devi crederci e piano piano, ci arrivi. Io volevo venire a ventitré anni e ci sono riuscita soltanto a trentaquattro. Forse sono giunta tardi, ma meglio tardi che mai. Ad un’albanese consiglio: “Chi vuole una vita migliore deve cercarla al di fuori del suo ambiente”.

Io mi sento benissimo qui. Non è che faccio la bella vita o vado a spasso, no! Lavoro e duramente, ma però sono libera. 

In Albania non potevo uscire ed andare per locali con il mio compagno. Sarei stata giudicata ed indicata; perché là nei locali ci possono magari essere anche cinquanta persone per volta, ma sono tutti maschi, solo maschi e colui che esce con la moglie è sempre giudicato e commentato come un debole. 

Non è come qui! Cambiano tantissime cose! Qui trovo il positivo delle cose, degli atteggiamenti della gente e là il negativo! 

Io dal mio paese - per sentirlo mio- desidero la felicità, non il bel panorama, il bel mare , eccetera!

Qui in Italia non sono molto attratta o interessata dalla politica, o dalle associazioni, gruppi e simili…. 

Quello che mi piacerebbe fare è donare il sangue, specialmente per i bambini che sono affetti da quella particolare malattia …che si cura con le trasfusioni. Ancora non l’ho mai fatto. So che qui la cosa funziona diversamente che da noi. Ho visto che ci sono anche dei manifesti per delle giornate particolari, … Mi informerò. 

Inoltre, vorrei riuscire a prendere la patente di guida. Abito a Rufina, ma lavoro spesso a Pontassieve e non sempre i mezzi pubblici sono adatti ai miei orari di lavoro. Sono già iscritta ad una scuola guida, ma trovo difficilissimo studiare la parte teorica. Sui libri ci sono parole che non capisco, cerco di stare molto attenta alle spiegazioni degli insegnanti, ma sono in difficoltà con le normative per l’assicurazione, con le procedure amministrative e cose simili. Comunque, insisto. Continuerò a impegnarmi, escogiterò il modo per prepararmi superando l’handicap della lingua e quello della patente e del codice della strada europei, che in Albania non sono in vigore.

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