L'AGRICOLTORE COMBATTENTE


Storia di Stefano Fantechi
A cura di Alessandro Messini

Insieme a mia moglie, posseggo l'azienda agricola Il Fattoio di Fontisterni. Si tratta del podere che mio nonno e mio padre lavoravano da sempre. Circa 24 ettari di boschetti e di campi, intersecati da fossetti e da strade, qualche zona argillosa e qualche altra ricca di sassi di galestro.
Fin da ragazzo ho imparato a lavorarci. Insieme ai miei mi occupavo delle viti, degli olivi, dei foraggi per il bestiame e dei seminativi che intervallavano tutte le coltivazioni arboree. Le viti erano per lo più maritate, con ampi spazi a tramezzo per poterci seminare. Gli olivi venivano tenuti alti, larghi, con rami robusti per reggere le scale e con parecchio spazio su ogni lato. La stalla aveva sempre una decina di bestie che venivano allevate, curate e rinnovate per la produzione della carne.

Dopo la scuola dell'obbligo ho studiato a Firenze, facendo il pendolare e sono diventato Perito Agrario. Fu durante quegli anni di studio superiore e in quelli successivi che mi sono preparato, documentato e convinto che per poter vivere dignitosamente con il lavoro della terra, occorreva cominciare a cambiare qualcosa: ridurre i tempi di lavoro ed i costi di ciascuna mansione; perseguire una maggiore produzione, individuando ed assecondando la vocazione naturale del nostro ambiente; ricercare possibilità di vendita remunerative.

Non perdevo mai occasione di esternare al babbo le mie idee, di illustrare i miei ragionamenti, di avanzare le mie richieste. Spesso mi sono dovuto confrontare e qualche volta anche scontrare.

Mi rendevo conto che la parcellizzazione dei nostri campi era di ostacolo e dicevo che occorreva cercare di spianare le gibbosità, allargare i passaggi, favorire lo scorrimento delle acque superficiali e quindi occorrevano mezzi ed attrezzi più potenti, più grossi, più veloci e sicuri.

Proponevo di sostituire le viti maritate con delle vigne più funzionali e più veloci da assistere, nelle quali sarebbe stato più facile operare con mezzi meccanici.

Facevo notare che l'allevamento ci portava via molto tempo, ci costringeva a procurarci i foraggi anche fuori dal nostro podere.

Ho lottato tanto con questi discorsi, ma alla fine il babbo prese ad assecondarmi: piano piano, arrivò il trattore più grosso, le viti più vecchie vennero sostituite con l'impianto di veri e propri vigneti dove si poteva operare bene e velocemente grazie a macchine guidate da una sola persona. Non più pioppi alti e nodosi , intervallati da ampie strisce di foraggiere che però andavano arate, assolcate, mietute, pressate e sempre, con laboriose manovre, supportate dalle braccia di più persone.

Dal 2005 ad oggi le cose son cambiate. Ai 24 ettari di proprietà originaria che ancora mantengo, si sono aggiunti altri 20 ettari circa, presi in affitto o in comodato, per lo più a vigneto o oliveto. Per trovare questi terreni con cui ho potuto accrescere la produzione e di conseguenza il reddito familiare, sono dovuto andare anche in altri Comuni e non mi è stato mai possibile acquistarli direttamente. Per fronteggiare l'operatività necessaria, ho dovuto ricorrere all'assunzione di un dipendente a tempo indeterminato e di un altro a tempo determinato. Ne è conseguita un'aziendina di buon livello, ma non ancora del tutto soddisfacente. Si procede e si avanza con fatica, con impegno costante e non sempre ripagato. Anzi, a volte sono veramente troppe le incombenze, gli obblighi, le difficoltà che burocrazia, norme e mercato ci impongono.

Io seguo in prima persona tutta la parte organizzativa e tecnica del lavoro: i rapporti con i dipendenti, i macchinari, la manutenzione, le forniture, la commercializzazione, ecc. Mia moglie mi aiuta principalmente gestendo la parte burocratica che, devo dire, per un'aziendina delle nostre dimensioni, incide fin troppo, risultando onerosa come tempo e come denaro. Nessun adempimento ci viene risparmiato, nemmeno a confronto con le grosse aziende. Posso fare l'esempio della formazione e dotazione del personale dipendente: HCCP, sicurezza, antinfortunistica, tecnica operativa e simili, ma posso anche citare tutta la parte amministrativa della modulistica, delle richieste di autorizzazione, licenze e permessi vari: anche per il solo espianto e reimpianto di una vigna, siamo obbligati ad un passaggio in Commissione Ambientale, con costi, procedure e tempi a nostro carico, perché nel Comune vige un cosiddetto vincolo ambientale che obbliga a tale procedura. Nei Comuni che non hanno una simile norma, l'iter degli adempimenti è molto più agile.

Volendo fare un esempio concreto, cito quanto è emerso in un recente convegno di olivicoltori che hanno parlato dei loro problemi insieme a tecnici della Camera di Commercio e ad esperti dell'Università fiorentina: l'attuale olivicoltura toscana sta morendo. Continuando così non ci sono possibilità di salvarla perché non è assolutamente remunerativa. Non lo è perché le tecniche colturali tradizionali, tutelate dal vincolo paesaggistico, non ce lo permettono. Esse servono quasi esclusivamente e mantenere il paesaggio, ma comportano costi troppo alti per i coltivatori, richiedono infatti troppa operatività manuale.

I permessi di espianto e reimpianto di cui parlavo prima a proposito delle vigne, non sarebbero ottenibili per gli olivi, se volessimo reimpiantarli con tecniche differenti.

Con altri colleghi ci stiamo organizzando per vedere di far variare queste norme. Da altre parti sappiamo che già si è cominciato ad agire diversamente, e quindi spero si possa trasferire anche da noi quelle esperienze.

Una tecnica colturale innovativa non inciderebbe sulla qualità del prodotto olio, così famoso e così ricco di pregi nella nostra zona. Caso mai essa inciderebbe sul paesaggio, ma io non vedo perché, se si è permesso, fin dagli anni '50, di incidere sui nostri panorami con la coltivazione delle vigne, non si possa, oggi, incidervi anche per gli oliveti.

Ad un profano può sembrare una follia espiantare dalle nostre colline degli olivi tradizionali, che furono piantati in sesto circa un secolo fa, per sostituirli con nuove piante da mettere a dimora in altro modo, ma io credo che sia necessario perché non può remunerarci, di tutto il lavoro attuale, un prezzo all'ingrosso di 4 euro al litro. Insieme ai tecnici ed agli scienziati dell'argomento potremmo individuare tecniche e modalità consone al nostro ambiente, senza arrivare alle coltivazioni spinte che già si vedono in Spagna, California, Sudafrica o Argentina e che già ci stanno facendo una grande concorrenza.

I cultivar da reimpiantare potrebbero essere estratti dalle nostre varietà più tipiche: frantoi, leccini, moraioli e messi a dimora in modo da poter praticare una coltivazione più meccanizzata dove ci sarebbero meno problemi di allegagione, di potatura, di raccolta ed altro ancora. Con terreni dedicati alla monocoltura dell'olivo potremmo abbassare i tempi e di conseguenza i nostri costi, pur senza arrivare a sofisticate macchine raccoglitrici, tipo uva, che già vengono usate all'estero.

Per fare un esempio dei vantaggi che un tale cambiamento potrebbe portare, voglio far notare che mia moglie, avvicinatasi all'agricoltura soltanto con il matrimonio, è in grado di fare di tutto nella vigna: dalla potatura, alla ramatura, dalla fresatura, alla raccolta. Questo non tanto perché sia brava e capace, ma perché le vigne sono state rese, da anni, meccanizzabili. Questo è il passo che vorremmo anche per gli olivi. 

La parola passo dà proprio l'immagine dell'azione in avanti, del non fossilizzarsi su una situazione, ma dell'agire per andare oltre le difficoltà. Un esempio di questa figurazione può essere proprio questo impianto in cui ci troviamo: la Cantina Sociale (Vi.C.A.S.).

Essa è frutto del lavoro dei viticoltori della generazione precedente alla mia. Negli anni '60 chi produceva vino nella nostra zona erano piccole o piccolissime aziende e il loro prodotto non era più adeguato al sistema di vendita che stava drasticamente cambiando: quantità troppo minime per interessare la grande distribuzione, costi troppo alti per essere ancora ricercato dal singolo consumatore. Occorreva associarsi per poter disporre di una quantità, omogenea per qualità e caratteristiche, tale poter interessare il mercato. Ci fu sicuramente, in quell'epoca, anche un valido aiuto politico che consentì di non disperdere i pregi di quelle innumerevoli piccole realtà agricole, ma furono soprattutto le volontà dei singoli che seppero cambiare, facendo cooperazione e ricercando la qualità. In quegli anni l'azienda della mia famiglia non era fra le più piccole, ma poi ci siamo accorti che occorre essere più grandi per sopravvivere. Oggi, per sostenere una famiglia ci vogliono almeno 40 ettari !

Comunque, l'esempio della Vi.C.A.S. è quello di una bella realtà. Stiamo adesso chiudendo il cerchio, attraverso “La Bottega”, di tutti i prodotti a chilometri zero dei vari soci: verdure, insaccati, aromi, ecc. ecc. 

Un discorso diverso dalla Cantina Sociale è quello della Ol.C.A.S., vale a dire il frantoio che negli anni '70 nacque a Carbonile, non tanto per commercializzare l'olio, ma bensì per frangere le olive dei piccoli produttori a costi accessibili. Infatti, presso certi frantoi privati c'erano, a quei tempi, dei prezzi di frangitura simili a quelli di oggi. Una cosa insostenibile quarant’anni fa.

All'inizio fu un impianto del frantoio di Cerbaia, poi di quello di Vallina e dopo in proprio, come Frantoio di Carbonile. In seguito, la Cooperativa Montalbano riprese tutto e quando volle sanare una propria situazione debitoria, decise di alienare Ol.C.A.S. di Carbonile. A quel punto molti dei soci originari, i più attivi ed affezionati, fra cui mio padre, forti dell'appoggio di Vi.C.A.S., ancora oggi maggior azionista del frantoio, decisero di riacquistare la struttura costituendo allo scopo, con un anticipo di capitale, un'apposita Società a Responsabilità Limitata. Una S.R.L. un po' anomala in verità, visto che conta circa 400 soci.

Devo dire che per il suo scopo originario, cioè quello di calmierare i prezzi di frangitura, Ol.C.A.S. ha funzionato, ma oggi deve affrontare problemi di commercializzazione simili a quelli dei vignaioli degli anni '60/'70.

Da quest'anno, 2013, sono io il Presidente della S.R.L. e mi sono posto l'obiettivo di creare anche una struttura di vendita. Mi auguro che tutto vada bene per la prossima stagione olearia.

Sempre più spesso mi capita di vedere che anche i piccoli produttori hanno difficoltà a vendere direttamente il loro olio e chiedono di poterne lasciare una parte come pagamento dei servizi del frantoio. Sono cosciente che questo è dovuto anche alle nuove normative: per l'imbottigliamento, per la tenuta del registro on line, per tante altre cose. Non per tutti è fattibile registrare in tempo reale il carico e lo scarico dell'olio. Si tratta di norme valide, per la tracciabilità del prodotto e per i controlli delle varie autorità, ma sicuramente sono adempimenti onerosi per chi produce, specie se di piccole dimensioni.

E' inoltre necessario che Ol.C.A.S. faccia degli investimenti per migliorare la propria immagine ed il proprio marketing, ma è dura, molto dura. 

Dalle nostre parti si può parlare di olii di alta qualità . Addirittura abbiamo partecipato al progetto della Camera di Commercio “OLIO MIO”, con estrazioni in assenza di ossigeno, ottenendone prodotti che possono essere definiti quasi olii medicamentali, abbiamo visto anche olii che in polifenoli presentano valori più validi di quelli ad estrazione tradizionale. 

Il mercato però non apprezza ancora questi nostri prodotti, non risponde positivamente ed io credo che non sia tanto per la crisi, quanto per le troppe opportunità a bassissimo prezzo che arrivano dall'estero e per le troppe pubblicità non corrette che la globalizzazione consente. Inoltre, a mio parere, per l'olio, a differenza di quanto avviene per il vino, non c'è abbastanza cultura, abbastanza capacità di assaggiare e saper valutare difetti o pregi organolettici. E' senz'altro un campo difficile, ma sicuramente troppo poco frequentato da persone desiderose di prepararsi o di educare il proprio gusto.

Per mia esperienza diretta direi che l'agricoltura italiana ha bisogno dei lavoratori extracomunitari. Gli italiani, soprattutto quelli locali, non vogliono più fare l'operaio agricolo. Io ne ho provati alcuni, ma non sono andati bene: mi sembra che abbiano preso dei ritmi diversi lavorando nell'industria. Magari anche più faticosi per certi aspetti, però più cadenzati. Vorrebbero essere comandati continuamente, cosa che in agricoltura è difficile: ci vuole un attimino di passione e di capacità di giudicare da soli le problematiche che si presentano. Non sempre può esserci nel campo qualcuno che ti dice cosa fare. A volte dovrebbero prendere delle iniziative, ma non, lo fanno perché sono abituati a cercare presso altri la soluzione. O forse, a differenza di chi ha sempre fatto una attività che richiede consapevolezza e partecipazione, non hanno quella che si potrebbe definire una vera e propria cultura del lavoro.

Per superare le lacune di preparazione, specifica e tecnica, non c'è che una soluzione: meccanizzare ulteriormente e cambiare le tecniche colturali.

Anche la formazione professionale può essere d'aiuto, ma occorre che ci siano dei presupposti: soprattutto persone giovani. I quarantenni non ne vogliono sapere. Invece, i due dipendenti che ho ancora adesso, entrambi albanesi e poco più che ventenni, hanno recepito tutto o quasi con naturalezza. Vanno a fare i vari corsi: Anticrittogamici, HCCP, Sicurezza, ecc.. Dopo questi corsi loro tornano in azienda con una formazione che si può definire senz'altro migliore. Dimostrano stima dei loro docenti e li valutano, forse, ancor più del loro datore di lavoro. 

L'agricoltura ha sempre avuto una grande importanza nella salvaguardia e manutenzione del nostro territorio. In passato ha fatto veramente molto; adesso sta facendo meno, perché noi agricoltori siamo in difficoltà.

Fu con il passaggio da mezzadri a coltivatori diretti che noi agricoltori ci siamo un attimino rilassati su questo argomento (mi ci metto nel mezzo anche io). Prima tutto quello che poteva definirsi regimazione idraulica era voluto dai proprietari, dalle loro fattorie e doveva essere puntualmente eseguita: c'erano addirittura degli obblighi per i contadini di dare un certo numero di giornate lavorative alla fattoria per questo tipo di servizi. Adesso tali situazioni non sono più possibili, ma a mio avviso le autorità locali dovrebbero imporre almeno la funzionalità dei fossetti principali e vigilare sull'adempimento di quanto necessario. Quando io pulisco con la mia ruspa un certo fossetto dei miei campi in pendenza, arrivo al confine con un'altra proprietà e lì devo fermarmi. Il proprietario del terreno sottostante però, non prosegue la mia opera; egli non intende sobbarcarsi quel lavoro e lascia che sul suo terreno si formi un laghetto, degli smottamenti ed altri fenomeni che, a lungo andare, possono causare veri e propri danni importanti a case, strade e terreni che stanno più in alto, sia pubblici che privati. A chi dovrò rivolgermi io in caso di danneggiamenti? Al proprietario che ha preferito lasciare il terreno in abbandono o al Comune che nonostante le segnalazioni non ha vigilato, non ha espresso pareri, non ha emanato disposizioni? L'agricoltura ha ed avrebbe una grande importanza per regolamentare l'uso del territorio, un valido esempio di ciò è stata la legge sull'agriturismo, in virtù della quale si sono potuti risanare casolari e terreni, ma c'è troppo scollamento fra le varie realtà.

Le frane verificatesi nell'ultima annata sono dovute essenzialmente all'abbondanza di piogge, ma alcune avrebbero potuto evitarsi con una corretta manutenzione dei fondi agricoli. Credo esista anche un limite di estensione per le vigne, soprattutto quando sono in pendenza e questo proprio per poter avere modo di intervenire con opere adatte a regimentare le acque. Comunque, in tutte le tecniche colturali, anche quelle più spinte e moderne, esiste il modo di affrontare e gestire il problema. 

Per il futuro del lavoro in agricoltura, sono dell'opinione che sia bene incoraggiare ed incentivare i giovani ad inserirsi in tutti gli aspetti della conduzione di un'azienda agricola. E' bene che arrivino idee di miglioramento in tutti i settori.

Anche le possibilità di impiego, a mio parere, ci sarebbero, purché si abbia intenzione di fare questo lavoro con passione. Le difficoltà che esso presenta sono notevoli, ma dall'altra parte ci offre la possibilità di vivere in mezzo ad un ambiente bellissimo, a dei bei posti, di vivere in casolari confortevolmente ristrutturati. Tutte cose di cui non possiamo lamentarci.

Il lamento di noi agricoltori è invece rivolto ai vari organismi amministrativi che ci governano: dovrebbero ascoltarci di più, dovrebbero darci più possibilità di gestire il territorio che lavoriamo. Per esempio, a tutto quanto ho già detto, potrei aggiungere anche la questione degli animali selvatici che, non essendo autoctoni e non essendo controllati a sufficienza, finiscono per causare danni sempre più importanti.

Il loro numero cresce continuamente. Non è più come quella volta in cui il mio nonno ci chiamò, noi ragazzi, tutto eccitato e contento. Io ero un bambino, ma il nonno sembrava lui un bambino, da quanto era meravigliato e felice: rientrando a casa dal campo, di sera, aveva visto uno dei primi caprioli attraversare, salterellando, la strada vicino al cimitero. Oggi quasi non passa settimana senza avvistarne qualcuno, anche più di uno insieme.

Sono cosciente che quando ho recintato le mie vigne con la rete metallica ed i pali non ho certo abbellito il paesaggio, ma è anche vero che là dove non ho potuto recintare le mie vigne, nella zona dell'ATC5, ho avuto danni pari al 90% a causa dei daini, dei caprioli e dei cinghiali. Tutti animali che hanno abbassato il loro areale, anche a causa del reinserimento del lupo. Credo che tutti gli interventi dell'uomo sugli animali e sull'ambiente vadano opportunamente regolamentati e controllati.

Al termine di queste mie riflessioni voglio sottolineare come sia cambiato il rapporto fra chi abita in città e chi vive in campagna. Quando andavo a scuola a Firenze io, ero il contadino che andava in città. Oggi che i nostri figli fanno lo stesso, è l'imprenditore agricolo che va a Firenze. Veniamo guardati con altri occhi. Siamo considerati diversamente e di più. Molto è anche merito nostro, che ci siamo impegnati e ci siamo fatti valere con i fatti.

Prima, il contadino, dopo aver lavorato nel campo, stava ad aspettare che venisse qualcuno a comprare il pollo, il coniglio, la bottiglia d'olio o la damigiana di vino. Oggigiorno, proponiamo attività, diamo lavoro, giochiamo insomma un ruolo diverso.

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